Le mini-protesi d’anca: lunga vita all’osso!

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Le mini-protesi d’anca: lunga vita all’osso!

La protesi d’anca è uno degli interventi ortopedici più diffusi e conosciuti al mondo. Principalmente lo si esegue per curare l’artrosi (primitiva o secondaria ad altre patologie), quando questa diventa talmente avanzata da non rispondere più alle soluzioni non chirurgiche e interferisce significativamente con la qualità di vita. Altre indicazioni sono le fratture, la necrosi della testa del femore, l’artrite reumatoide, i tumori, etc.

È un intervento coronato da una percentuale elevatissima di successi, molto vicina al 100%. Il miglioramento delle cure peri-operatorie, inoltre, ha ridotto i tempi di recupero e aumentato il comfort complessivo del paziente.

Negli anni si è assistito anche ad un incremento della vita media di una protesi, che oggi si aggira intorno ai 15-20 anni. A fronte di questi benefici, il tema della durata è ancora molto attuale e fonte di ricerca e di stimoli all’innovazione.

Se consideriamo poi che l’età media del soggetto sottoposto ad artroprotesi d’anca si è abbassato nel tempo e il numero di soggetti protesizzati ogni anno cresce contiunamente, questo ha portato a un aumento del numero di pazienti che hanno necessità di un secondo intervento, cosiddetto, di revisione e reimpianto.

Questi re-interventi sono generalmente molto più complicati e invasivi rispetto ai primi impianti, senza considerare il fatto che vengono condotti in soggetti che hanno in media 15 o 20 anni di più rispetto all’epoca del loro primo impianto.

La difficoltà principale consiste nel fatto che l’osso su cui faceva presa la prima protesi non ha più la qualità e le caratteristiche meccaniche per accogliere una nuova protesi, quindi la protesi di re-impianto deve fare presa su una zona d’osso ‘naive’, che nel caso della componente femorale di una protesi d’anca si trova sotto quello già sfruttato. Ai fini del reimpianto quanto più osso c’è a disposizione tanto meno la procedura è complicata e le probabilità di successo sono alte.

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Radiografia di un caso di protesi d’anca bilaterale con steli ‘da revisione’ (da notare la lunghezza degli steli, che occupano gran parte del canale di entrambi i femori)

Per questo grandi e piccole industrie del settore hanno fornito innumerevoli modelli protesici, sempre alla ricerca di quel qualcosa in più che, oltre al buon funzionamento, assicurasse una maggior durata e sfruttasse quanto meno osso possibile.

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Radiografia di un caso di protesi d’anca bilaterale con steli convezionali

Tra questi modelli, negli ultimi anni, hanno trovato sempre maggiore utilizzo quelle a risparmio del collo femorale e che in gergo vengono chiamate ‘mini-protesi’ o protesi ‘corte’. Con queste protesi è possibile eseguire un intervento di protesi d’anca asportando solo piccole quantità di osso.

I vantaggi immediati consistono nella minore esposizione chirurgica, minor sanguinamento, minor dolore e minore quantità complessiva di cure nel postoperatorio. L’enorme vantaggio che si ha a lunga scadenza (in media 15-20 anni) si basa sul fatto che si ha molto più osso sano rispetto a quello che lasciano le protesi tradizionali. In teoria in caso di re-impianto si manterrebbero le condizioni per potere utilizzare non più le voluminose e invasive protesi cosiddette ‘da re-impianto’ ma quelle protesi (non ‘corte’) che normalmente vengono utilizzate nei primi impianti. Gli interventi di re-impianto diventano quindi molto più semplici e con probabilità di successo sempre più alte.

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Radiografia di protesi anca sinistra con stelo femorale ‘corto’ (a risparmio osseo)

Le mini-protesi diventano quindi un elemento fondamentale nei casi in cui si parla di chirurgia mini-invasiva, in quanto applicano il concetto di mini-invasività proprio al cuore della procedura chirurgica. Risparmiando più osso lasciano intatto un patrimonio che può essere sfruttato in caso di necessità negli anni successivi.

Non sempre le mini-protesi sono fattibili. Il loro utilizzo dipende dalla qualitá e dalla morfologia dell’osso che è destinato ad accoglierle, nonchè dall’esperienza in materia del centro a cui ci si rivolge. Dal punto di vista diagnostico, nella maggior parte dei casi le semplici radiografie sono sufficienti a individuare le caratteristiche che ne consentono l’impiego.

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